INDISSOLUBILITA’ DEL MATRIMONIO

In siffatto sistema il matrimonio era, non solo auspicato e necessitato quale istituto costituente la cellula fondamentale della società e foriero di visibilità e riconoscibilità sociale, ma unico e per la vita, se si eccettuano i casi di annullamento per vizi essenziali e di vedovanza.
Il divorzio (poi introdotto dalla L. 1 dicembre 1970 n.898) non esisteva e la separazione non poteva essere dichiarata dal giudice se non per mutuo consenso dei coniugi ( il che avveniva molto raramente, stante il pressante controllo sociale) o per tassative cause addebitabili a quello di essi che si fosse discostato dal modello condiviso o comunque imposto dall’ ordinamento.
L’articolo 151 del codice civile, in vigore fino alla legge di riforma n.151 del 19 maggio 1975, così recitava:
“La separazione può essere chiesta per causa di adulterio, di volontario abbandono, eccessi, sevizie, minacce o ingiurie gravi.
Non è ammessa l’azione di separazione per adulterio del marito, se non quando concorrono circostanze tali che il fatto costituisca un’ingiuria grave alla moglie“.
Come si può agevolmente constatare, anche nel campo dei comportamenti coniugali considerati più o meno riprovevoli, al di là di valutazioni etiche o morali, si riproducevano le regole condivise fondanti i rapporti sociali improntate da una precisa connotazione di genere, particolarmente spiccata per i comportamenti di natura sessuale.